4 Giugno 2024
"Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?"
(Fino a quando dunque, Catelina, abuserai della nostra pazienza?)
Questo il celebre incipit dell’invettiva di Marco Tullio Cicerone rivolta a Catilina e alla sua congiura, che ancora riecheggia nei nostri manuali di letteratura. Ma se a pronunciarlo fosse stata una donna?
Per tutto il corso della romanità, non si fatica a capirlo, le donne difficilmente potevano ricoprire un ruolo attivo all’interno della vita repubblicana e, successivamente, imperiale; e altrettanto difficilmente venivano ricordate.
Ma un nome, o anzi un gentilizio (le donne infatti non vantavano i tria nomina come invece gli uomini), si fa strada nella tradizione dei Romani, scavalcando le norme dettate dal mos maiorum e infrangendole con orgoglio, in un tempo in cui a una donna non era concesso nemmeno parlare in pubblico.
E anche se la sua orazione non passò alla storia come quella di Cicerone, Ortensia riuscì a battersi per le altre donne grazie alla sua capacità oratoria, poco importa se da avvocata o da avvocatessa.
A giocare un ruolo fondamentale fu sicuramente il fatto che fosse figlia di Quinto Ortensio Ortalo, celebre oratore nonché rivale di Cicerone, da cui Ortensia ebbe molto da imparare. Approfittando della strada percorsa, divenne celebre già in Antichità grazie all’orazione del 42 a.C., pronunciata davanti ai membri del secondo triumvirato.
Quest’ultimo, in occasione della battaglia di Filippi, aveva richiesto un ingente contributo alle donne abbienti per affrontare le spese in preparazione alla guerra.
Le stesse donne che, in un estenuante susseguirsi di conquiste e guerre civili, avevano visto i loro figli, fratelli e mariti morire in nome della Repubblica. Tra queste si annoverava persino Fulvia, la moglie dello stesso Marco Antonio, che di lì a poco avrebbe tradito la donna con Cleopatra.
Poiché nessun uomo si sarebbe mai offerto di difendere la causa, non vedendo in essa nessun tornaconto, l’appello delle matrone non poté che ricadere su Ortensia.
Ortensia, con la forza di un leone e la grazia di una musa, avanzò dinanzi ai potenti del suo tempo. Con passo deciso e cuore ardente, si presentò davanti al secondo triumvirato, composto da Marco Antonio, Ottaviano e Lepido, consapevole che la sua voce avrebbe potuto risuonare come un eco di giustizia in un mondo dominato dagli uomini.
Quando iniziò a parlare, la sua voce, questo è certo, non tremò.
Sfidò il triumvirato ricordando loro il ruolo cruciale che le donne avevano sempre avuto nella società romana, seppure relegato dietro le quinte del potere ufficiale.
Evocando l’antico spirito della Repubblica, richiamò alla mente dei presenti le virtù dei loro antenati, un tempo guidati dal concetto di giustizia e uguaglianza. Chiese non pietà, ma equità; non concessioni, ma diritti. E la sua audacia non rimase inascoltata.
Il triumvirato fu costretto a ridurre l’imposta.
Giada Atzeni
L'humour, les mots j'en fais mon affaire...La langue de bois, je ne connais pas. Fatiguée d'être censurée, j'ai décidé de faire profiter, à ceux d'entre vous qui n'ont pas peur des mots, à ceux qui sont capables d'aller au-delà d'un paragraphe de lecture, de mes pensées, de mes élucubrations.
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