6 Dicembre 2022
Esiste ormai ogni tipo di paura, di fobia: xenofobia, agorafobia, acrofobia, emofobia, aptofobia o nomofobia (abbreviazione della frase no-mobile fobia). Quest'ultima fobia è una sofferenza legata al telefono, una sindrome segnata dalla paura della disconnessione sociale, eppure chi di noi non ha anelato di liberarsi almeno per qualche giorno di questo strumento che ci mantiene in allerta giorno e notte?
Chi non ha mai sognato in un periodo particolarmente stressante e impegnativo di non avere più legami con nessuno per poter riscoprirsi e ritrovare la libertà di pensare fuori dagli schemi della società?
In Corea del sud come dappertutto, ma forse anche di più, le settimane lavorative di 100 ore non sono rare e i sintomi di ergofobia (paura eccessiva e persistente verso il proprio lavoro) anche. Perciò moltissime persone sognano di essere disconnesse.
Una donna, Noh Ji-Hyang, ha inventato un rimedio per lo meno insolito. Tutto è iniziato da un'osservazione di suo marito che dopo una giornata intensa di lavoro, appena rientrato a casa stanchissimo, le avrebbe confidato: (sicuramente senza pensarlo realmente), che avrebbe voluto passare una settimana in prigione solamente per poter riposare
La signora prese questa suggestione sul serio e suo marito in parola.
Nel 2013 creò un istituto da lei battezzato "Prison inside me". Parliamo di una prigione a 90 dollari a notte che permette di riposarsi disconnettendosi dal mondo. La piccola cella misura 5 metri quadrati è priva di telefono, contiene un tappetto per yoga sul parquet, un quaderno, una penna e del tè... that's all!
Questo porta a farci questa domanda: «di che cosa abbiamo bisogno per riflettere?».
Tutto sommato di poche cose, un posto silenzioso, un quaderno, una penna e... una tazza di tè.
In questa prigione consensuale che assomiglia a un regno, la libertà esiste perché tutti gli abbinamenti sono possibili.
Possiamo come Proust andare "alla ricerca del tempo perso" assaporando una tazza di tè.
Possiamo come un saggio cinese pretendere che il senso della vita sia una tazza di tè o che non lo sia..
Possiamo come Balzac alzarci alle 5 del mattino per scrivere la «Commedia umana» e mantenerci svegli immergendo i piedi in una tazza di tè.
Possiamo anche come Camus scrivere 864 lettere d'amore a Maria Casarès, una penna in mano e la carta sulle ginocchia, la teiera non lontana.
Infine possiamo come Zuangzi sognare sdraiati mentre il tè si raffredda.
Esistono luoghi semplici, degli angoli, delle stanze di appena 5 metri quadrati che abbracciano il mondo intero...paradosso che aveva già notato Baudelaire quando scrisse che in un palazzo non c'è un posto per l'intimità.
«Sono un uomo che sogna di essere una farfalla oppure sono una farfalla che sogna di essere un uomo?» si chiese Zuangzi, libero nella sua prigione.
E voi, cosa ne pensate?
Christine Lauret
L'humour, les mots j'en fais mon affaire...La langue de bois, je ne connais pas. Fatiguée d'être censurée, j'ai décidé de faire profiter, à ceux d'entre vous qui n'ont pas peur des mots, à ceux qui sont capables d'aller au-delà d'un paragraphe de lecture, de mes pensées, de mes élucubrations.
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