27 Giugno 2022
Io e lui eravamo là. Sdraiati in cima a una collina. Era un pomeriggio d'autunno particolarmente soleggiato, mancava un quarto d'ora alle cinque. Una leggera brezza accarezzava i nostri capelli sollevandoli verso il cielo. Un filo d'erba tra le labbra, le mani dietro la testa, guardavamo le forme che si disegnavano nelle nuvole lasciando campo libero alla nostra immaginazione.
Mi chiese: ”a cosa pensi?”
“... vuoi che ti racconti un ricordo della mia infanzia?”
“ci tieni davvero a questo ricordo?”
“si...”
Dicembre 2010. Ore 22.
Un freddo intenso invade tutta la casa.
Cercando di guardare dalle finestre, si intravede il paesaggio di una foto sfocata per la troppa nebbia. I vetri piangono, ed io scommetto su che lacrima avrebbe lasciato per prima questo viso provvisorio. Ai miei piedi, delle calze grosse mi proteggono dalle mattonelle gelide che ricordano il freddo artico.
Mia madre urla il mio nome: Leaaa! E' ora di aprire i regali. Mi precipito giù per le scale. Rischio di scivolare più volte per colpa delle calze natalizie ma arrivo ai piedi dell'albero. Mia madre e mia nonna mi guardano con insistenza quasi per dire: Dai muoviti ad aprire questo regalo che non vediamo l'ora di vedere la tua reazione.
Mi indicano il regalo più grosso. Ho difficoltà a spacchettarlo. Con l'aiuto di mia madre e di un buon paio di forbici siamo riuscite a vedere cosa si nasconde dietro questa misteriosa confezione.
Non ci credo! E' davvero quello che penso. E' veramente lei. Ho proprio qui, davanti ai miei occhi la mia primissima bicicletta.
Già immaginavo tutto quello che avrei potuto vivere con lei. La prima pedalata nel giardino. Il mio primo giro nel quartiere. I pomeriggi interi passati al parco a stuzzicare i miei amici che avevano come unico mezzo di trasporto le loro gambe. Ah sì, già immaginavo il mio futuro su questa bicicletta rosa.
La prima volta che ci sono salita, i miei sogni sono precipitati per terra insieme a me. Ma non potevo lasciar andare via questa speranza. Sono risalita, ancora e ancora. Le mie ginocchia erano fredde e insanguinate. Ma ne valse la pena. Entro mezzanotte sapevo andare in bicicletta. La prima volta che sono riuscita a fare il giro del giardino senza cadere o frenare, un sentimento indescrivibile ha percorso il mio corpo. Mi sentivo più forte, mi sentivo indistruttibile, mi sentivo...libera.
Sentivo il vento tra i miei capelli, l'aria fresca sulle mie guance, dopo ogni pedalata il mio viso si illuminava sempre di più. Da quel momento era diventata la mia migliore amica. Lei ed io uscivamo ogni giorno insieme, e ogni giorno aveva una nuova decorazione. Prima un cestino bianco, poi due frange rosa cangianti agli estremi del manubrio, poi vari sticker di unicorni, insomma, era una bicicletta viziata. Quando uscivamo a fare il giro del quartiere portavo spesso anche la mia compagna di crimini: il mio cane. La mettevo nel cestino e insieme ci sentivamo due avventuriere che giravano il mondo alla ricerca della libertà. Ma la libertà l'avevamo già trovata, era questa bicicletta che ce la dava. Sceglievo sempre sentieri non frequentati, luoghi abbandonati, strade larghe e lontane dalla città per le nostre scampagnate pomeridiane. In questi momenti si sentivano davvero la pace, il silenzio e questa libertà tanto agognata.
Ora sto cercando di ritrovare questa libertà che ormai sembra quasi irraggiungibile. Più si cresce, più si allontana piano piano, come se giocassimo a nascondino e ogni volta che fossi vicina al suo nascondiglio corresse via per trovarne un altro. Non è così semplice ritrovarla e tenersela stretta. Da grandi bisogna rispettare delle leggi, delle regole, andare a scuola da un certo orario e tornare a casa ad un altro. La vita è piena di regole e purtroppo credo che la mia ricerca di libertà sia infinita. Non riuscirò mai ad avere lo stesso sentimento che ho provato la prima volta su questa bicicletta. Non riuscirò mai a provare di nuovo una sensazione di libertà così forte. Pensavo che solo la me di cinque anni aveva potuto godere di quest'emozione effimera così rara e così bramata.
Invece no... Ho intravisto un'altra volta il nascondiglio della libertà. E' durato un minuto, ma per quel minuto ho rivissuto quel natale del 2010.
Tutto è iniziato una mattina di gara. Mi alzo alle sei, apro la finestra e scopro che la notte precedente ha piovuto. Accidenti! E ora? Tra poche ore devo fare il mio percorso di salto ad ostacoli con mille pozzanghere nel campo. Non fa niente. Faccio colazione, mi preparo e vado in maneggio. Gli istruttori ci dicono che nonostante la pioggia e i laghi che si sono creati all'interno del campo di gara, il concorso non si sarebbe potuto annullare. Siamo in trentacinque e sono la diciottesima. Il campo ha il tempo di asciugarsi, menomale. Alle otto la prima concorrente dà il la al suo cavallo e iniziano la gara. Appena superano il terzo ostacolo il cavallo scivola e cadono entrambi sulla sabbia bagnata. Non si rialza. Due istruttori corrono in mezzo agli ostacoli. Uno per aiutarla a rialzarsi e uno per fermare la folle corsa che il suo cavallo aveva intrapreso. La seconda concorrente entra. Al primo ostacolo il cavallo fa un rifiuto e lei cade. Si rompe il braccio. Chiamano un'ambulanza. Il terzo, quarto e quinto concorrente non hanno avuto nessun problema, fortunatamente. Il sesto ha avuto una sorte diversa e prima di finire il suo giro il cavallo prende male una curva e gli cade addosso. Non si sveglia. Chiamano di nuovo un'ambulanza. Prima di me mancavano circa dieci persone. Hanno chiamato altre sette volte l'ambulanza. Questa pioggia ha fatto quasi più feriti di un terremoto. Ok, tocca a me. Mia madre non mi vuole lasciare partecipare. Ha troppa paura, la capisco. Non so se aveva più paura perché quasi tutti i concorrenti sono stati portati via dall'ambulanza o perché il mio cavallo si chiamava Tequila. In ogni caso, era la mia ultima gara in questo maneggio, volevo assolutamente farla. E poi, avevo quel presentimento che mi diceva: Vai Lea, falle vedere che ce la puoi fare, falle vedere come tu e il tuo cavallo siete in sintonia.
Era la prima volta che mia madre veniva a vedere una mia gara, di solito veniva mia nonna. Volevo, dovevo dimostrarle che ne ero in grado, che ce la potevamo fare, io e la mia compagna di squadra. Entro in campo correndo per sfuggire a mia madre. Inizio il percorso nonostante le sue urla che mi dicevano di scendere. Mentre Tequila galoppava tra le pozzanghere ho iniziato a provare di nuovo quel sentimento di potenza, di libertà. Ma la vera libertà l'ho provata quando eravamo in sospensione sull'ultimo ostacolo. Proprio in quel momento ho capito che ce l'avevamo fatta. Che era andato tutto bene. Che avevo preso la buona decisione. Quando Tequila ha appoggiato i quattro zoccoli per terra, dopo l'ultimo salto, ho sentito un brivido invadere il mio corpo. Un brivido di libertà. Sentivo di nuovo i miei capelli al vento, l'aria fredda sul viso. La mia bicicletta si era trasformata in un cavallo. Io e lei abbiamo vinto questo giorno, non solo la gara, ma un briciolo di libertà.
Spero davvero tanto di poter trovare definitivamente il nascondiglio di signora libertà. Ci vorrà tempo, molto tempo. Ma in fondo sono sicura che più intravedo i suoi nuovi nascondigli, più un giorno non ne avrà più e allora, quando intravederò l'ultimo, non distoglierò più lo sguardo da lì.
Distolgo lo sguardo dal cielo ormai blu scuro e lo guardo. Si era seduto, gambe incrociate, bocca aperta e occhi appannati dalle lacrime. Mi guarda sorridendo e dice: “ora capisco perché tieni tanto a questi ricordi, l'ho sempre cercata ma non ho mai provato quel brivido di libertà che hai descritto. D'ora in poi ascolterò la mia voce interiore e mi fiderò di più di me stesso, così potrò vincere ogni paura e trovare anche io il mio briciolo di libertà.”
Il nascondiglio di signora Libertà non è alla portata di tutti. Ho avuto la fortuna di intravederlo due volte. Ma questi momenti mi sono rimasti impressi a tal punto che ogni giorno la mia quête di libertà si fa più decisa e mi auguro che la prossima volta che vivro' uno di quei grandi momenti di libertà, potro' tenermela stretta e sfruttarla a mio piacimento.
Léa Lauret
(Giovane lettrice di 16 anni di words and Dreams)
L'humour, les mots j'en fais mon affaire...La langue de bois, je ne connais pas. Fatiguée d'être censurée, j'ai décidé de faire profiter, à ceux d'entre vous qui n'ont pas peur des mots, à ceux qui sont capables d'aller au-delà d'un paragraphe de lecture, de mes pensées, de mes élucubrations.
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